Prose and narrative

Citare come fonti:

Paolo Euron, In prima persona, in “Il racconto”, Milano, 1, 1991, direttore Guido Almansi. 

Paolo Euron, In prima persona, da Nostalgia dei luoghi non vissuti, Lighea, Torino 1994, pp. 9-19.

In prima persona

Avrei dovuto immaginarlo subito che il comportamento della nuova donna di servizio aveva qualcosa di indefinibile e sospetto. La prima volta che la vidi notai solo che era bella, decisamente troppo per una donna di servizio raccomandatami da amici sconosciuti di conoscenti in fondo poco noti. La moglie di un mio collega aveva insistito perché io provassi a lasciar governare la mia casa da quella donna. Ma, ammetto, mi piacque l’idea di vederla aggirarsi tra le mura del mio appartamento, scansando le pile di libri e di riviste, di vederla avvicinarsi alla mia scrivania con il caffè fumante dopo che dalla cucina se ne era già diffuso l’aroma per le stanze.

Quel giorno il suo arrivo mi parve soprattutto una formalità e trascurai ben presto la sua presenza tra le mie mura. Ero arrivato a casa con un voluminoso pacco di bozze di stampa. Si trattava di un’enciclopedia letteraria, un vecchio e pregevole lavoro cui mi era stato offerto di collaborare alla riedizione. Il mio secondo romanzo era terminato da poco. Giaceva nel cassetto assieme alla raccolta di poesie e a un paio di traduzioni dal tedesco. Tutti quegli scritti dovevano trascorrere il necessario periodo di decantazione prima di ricevere la correzione finale. Di fatto mi restava, dunque, poco da fare. Anche in questo caso amici poco noti di amici fidati mi avevano procurato quel lavoro inaspettato e, apparentemente, conveniente. In effetti non capivo come mai nessuno avesse voluto assumersi il facile compito di integrare e aggiornare delle biografie. Il numero delle voci riguardanti letterati italiani degne di ripensamento e di correzione – e non semplicemente dell’oblio – risultava piuttosto ristretto. Era un lavoro che io avrei fatto volentieri non appena fossi tornato da un viaggio a Milano di un paio di giorni. Subito non pensai affatto al lavoro che mi attendeva, assorbito com’ero dalla prospettiva di un viaggio di piacere. Spesi quei giorni in lettere, telefonate, preparativi e altre formalità.

Al mio ritorno mi dedicai subito al lavoro. Conoscevo già quell’opera anche se soltanto di nome. Avevo acquistato quell’enciclopedia letteraria su una bancarella di libri usati e, da allora, non l’avevo consultata più di un paio di volte. L’edizione che possedevo – l’ultima – portava la data del 1968. La estrassi dallo scaffale alla mia sinistra e la sfogliai, cercando di immaginare come sarebbe mutata la sua fisionomia nell’edizione futura, cui io stesso avrei lavorato. Quanti scrittori erano dati per viventi, mentre invece nel frattempo avevano guadagnato l’anonimato e l’eternità che loro avevano augurato soltanto ai propri libri. (Gli scrittori – pensai – sono una razza effimera; iniziano a essere tali quando si persuadono di non essere immortali. Allora i loro libri si fanno buoni libri, ma la loro vita è ormai breve.) Quanti luoghi inesistenti erano nominati in certe biografie: “scrittrice della DDR”; “nato in Unione Sovietica”, luoghi ormai fantasiosi e irraggiungibili come i paesaggi descritti nei loro migliori libri di avventure. E tutto questo sarebbe andato perduto nella nuova edizione dell’enciclopedia.

Ad un certo punto mi cadde l’occhio sulla fotografia nota di un austero signore. Accanto al nome Borges, la data di nascita, e fin qui tutto bene. Poi quella di morte: il 1986. Per un attimo la mia mente andò al momento della scomparsa, alle notizie diffuse dalla televisione. Mi sembrava che da quel giorno fosse trascorsa un’eternità, e mi stupii che fosse soltanto il 1986. Poi subito mi accorsi che l’enciclopedia, stampata nel 1968, non poteva riportare la data 1986, e perdipiù corrispondente al vero. Rimasi sorpreso, e cercai con crescente inquietudine altri nomi, confrontando tutte le date di morte con il ‘68. Nella foga controllai anche le date di Shakespeare, Laforgue e numerosi altri. Dopo un paio d’ore constatai che altri tre autori registrati nell’enciclopedia avevano la data di morte posteriore al 1968. Non solo, ma l’elenco delle loro opere era aggiornato, per quanto in modo piuttosto strano. Non comparivano tutte le opere che essi avevano scritto successivamente alla data di edizione dell’enciclopedia, ma solo quelle notevoli. Non le più note, ma quelle più pregevoli, come se un attento critico le avesse rigorosamente selezionate, ammettendo soltanto le migliori. Ma la sorpresa maggiore la ebbi quando scorsi la data di morte di uno scrittore, terribile nella sua laconicità, nel suo aspetto innocente di mera registrazione di un fatto, che cadeva oltre la data odierna, in un giorno imprecisato di un anno che ora, mentre sto scrivendo queste parole, deve ancora venire!

La notte fuori era precipitata nella strada, avvolgeva i lampioni e premeva alle finestre. Io non riuscivo a iniziare il lavoro, restavo immobile con il volume dell’enciclopedia letteraria tra le mani. Subito pensai alla spiegazione più probabile. Quegli strani fatti erano dovuti alla essenziale fragilità e leggerezza dei libri. Noi prendiamo con grande serietà quanto leggiamo sui libri solo sulla base di un’abitudine. Lo facciamo per rispetto di quel principio di autorità che non troviamo più incarnato nei vecchi. Al giorno d’oggi i vecchi sono i primi a venir messi da parte. In questa civiltà in continuo cambiamento la loro esperienza è – in termini attuali – obsoleta. Il sapere racchiuso nei libri invece non solo è più antico del sapere dei nostri nonni, ma è capace di terrorizzare e predicare anche il cambiamento, anche la crudeltà, anche l’inumanità che l’uomo, se non altro per ragioni di interesse personale, non vorrebbe mai predicare ai propri nipoti. Ma i libri restano tuttavia carta, inchiostro, sciocchezze insomma, fragili e soggetti a errori. Non si può prestar loro troppo credito. Tuttavia questa spiegazione non mi convinceva pienamente. Troppe restavano le coincidenze per poterle spiegare con errori di stampa. Dopo un primo momento di spaesamento il mio spirito critico ebbe il sopravvento. Mi dissi: il libro si integra di nuovi fatti? Allora significa che qualcuno lo tiene segretamente aggiornato. Questa mi parve la spiegazione più probabile.

Prima di immaginare il motivo di una simile congiura cercai di considerare sotto questa luce quanto mi era accaduto negli ultimi giorni. Effettivamente mi aveva sorpreso, quando ero tornato da Milano, l’accoglienza della donna delle pulizie. Ero ancora sul pianerottolo, davanti alla porta del mio appartamento. Avevo appena inserito la chiave nella serratura quando lei, dall’interno, spalancò la porta, strappandomi così di mano il mazzo tintinnante delle chiavi, rimasto penzolante dalla serratura. Mi invitò ad entrare con un sorriso dolce, un po’ ambiguo. Sì: mi invitò ad entrare in casa mia! Rimase contro la porta spalancata, diritta e col petto proteso. Ora che ci penso: e se avesse voluto distrarmi? Non avevo forse sentito qualche rumore sospetto proveniente dal mio studio? Forse qualcuno stava sostituendo il volume dell’enciclopedia e, certamente, anche le pagine delle bozze che avrei dovuto correggere. Mentre io ero lì a scambiare qualche parola con quella donna, lui stava uscendo dalla finestra e scomparendo nella sera torbida. Infatti, non appena entrai nello studio, lei mi si precipitò dietro per chiudere la finestra, che aveva lasciato aperta – disse – perché c’era odore di muffa, ma di libri ammuffiti. Tutte quelle coincidenze, un po’ reali e forse un po’ immaginate, collimavano perfettamente. Ma in fondo, dato che ero stato via per un paio di giorni, perché quel misterioso individuo era venuto ad operare le sue misteriose sostituzione proprio al momento del mio ritorno? Perché aveva aspettato che io entrassi, per guadagnare la sera torbida oltre la finestra? No, la cosa era poco probabile, e i sospetti congetturati crollavano al primo serio esame critico. Forse – mi dissi allora – era la stessa donna delle pulizie la responsabile dello strano fatto. Cercai di ricordarmi le parole scambiate con la donna e i nostri brevi rapporti. Forse tutto quello che avevo interpretato sbrigativamente come caso o come bizzarra civetteria (e quanti gesti, quante parole che ora riferirò per bene mi vennero in mente!) rientrava invece in un disegno preciso.

Infine mi alzai dalla scrivania e mi parve di trovarmi in quella stanza da secoli. Effettivamente c’era odore di muffa. Da quando lo aveva detto lei tutti i libri si erano messi a marcire e a odorare di muffa. Fuori era buio, verosimilmente faceva freddo. Avrei voluto esser là, per le strade, in un caffè con gli amici, oppure a passeggiare sotto i portici con le mani intirizzite affondate nelle tasche. Mi avvicinai alla porta del mio studio e la socchiusi. Nonostante fosse tardi, di là c’era la luce ancora accesa e la donna era ancora a casa mia, da qualche parte della cucina o del salotto. Forse stava aspettando che io la raggiungessi, magari era seduta per terra davanti ai vasi dei fiori e stava staccando le foglie secche e teneva il vestito sollevato in modo che si potesse vedere bene l’inizio delle calze. Oppure mi avrebbe atteso per poi cambiare, nuovamente di fronte a me, una lampadina del soggiorno, slanciando con ampio gesto le braccia verso l’alto, tenendosi in equilibrio sulla sommità della scala.

Chiusi la porta cercando di non far rumore e mi sedetti nuovamente alla mia scrivania. Continuavo a pensare alla donna di servizio, a quella improvvisa presenza estranea in casa mia. C’era un collegamento con il libro oppure si trattava solo di una coincidenza? Prima che io partissi per Milano era accaduto un fatto singolare. Stavo attraversando il corridoio quando udii la sua voce in soggiorno, forte e chiara come quella di un attore sul palco. “Si bruciano sempre queste benedette lampadine!” Entro in soggiorno e la vedo sulla scala a pioli, curva sotto il lampadario tanto che sembrava dovesse reggerne su di sé tutto il peso. Era intenta a sostituire la lampadina bruciata. Teneva un piede appoggiato sul piolo di mezzo ma l’altra gamba, sollevata, si scopriva fino a mostrare l’inizio merlettato della calza. Caso? Bene, lo pensai anch’io. Oppure si trattava semplicemente di un deliberato tentativo di avvincermi, di attirare il mio interesse. In un primo momento optai per questa seconda alternativa. Mi lusingavo che fosse questa la ragione di ogni suo gesto. Forse fui molto vanitoso, lo ammetto. Ma d’altra parte non potevo ignorare il fascino che distingue un intellettuale, ossia una persona che non si sa mai bene che cosa faccia, solo, un po’ cinico e un po’ rassegnato, una sorta di fratello minore del Marlowe di Chandler. Certo, ora, ripensandoci, mi pareva di essere stato ingannato, raggirato. Lei si era deliberatamente presa gioco di me per coinvolgermi nelle sue trame. Eppure in un primo tempo non avevo affatto sospetti, credevo che lei si fosse sinceramente interessata a me. Pensandoci, negli stretti passaggi del mio appartamento, più di una volta lei si era messa con la schiena contro la parete per darmi modo di passare e, così, mi aveva sfiorato col suo petto, e io avevo avvertito il suo fiato sul mio collo. Poi ho già detto ciò che accadde sulla porta al momento del mio ritorno da Milano. Sì, sarò egocentrico, ma avevo creduto che fosse interessata a me e che volesse perciò stuzzicarmi. Una volta, mentre lavava i piatti, mi fece una domanda su Sartre. Voleva compiacermi? Già allora mi parve strano che una donna delle pulizie sapesse chi era Sartre. A questo punto penso piuttosto che volesse controllarmi. Poteva essere stata lei stessa, magari eseguendo ordini altrui, a modificare l’enciclopedia; ma per quale motivo? Forse, mi dissi mentre ero chiuso nel mio studio a riflettere sul libro, lei stessa faceva parte di una società segreta che regge le sorti degli uomini. Controllavano il mio comportamento spiando costantemente le mie azioni, oppure ponendomi un’innocente domanda su Sartre, una domanda senza importanza perché non contava l’esattezza della mia risposta ma soltanto come avrei risposto. Forse questa società era potentissima, forse indagava e poi decideva il destino dei futuri scrittori (mi immaginavo che anche Céline e Musil fossero stati avvicinati, ad certo punto della loro vita, da una donna indefinibile e sospetta come la mia donna delle pulizie). Senza l’appoggio di questa società, senza il suo consenso nessuno sarebbe stato in grado di scrivere. Essa non avrebbe permesso a nessuno di diventare scrittore, di creare cose pericolose come i libri. Forse si trattava di una società di sole donne (non era stata la moglie del mio collega a raccomandarmi quella domestica?), oppure, addirittura, si trattava di una società segreta composte dalle donne, da tutte?…

Mi abbandonai contro lo schienale della poltrona, cercando di arginare la piena dei miei pensieri. In realtà mi conveniva tornare al problema centrale, al libro.  Nell’enciclopedia è scritto qualcosa che trova – con anni di anticipo – esatta corrispondenza nella realtà. Due ordini di fatti tra loro indipendenti, da una parte le parole stampate e dall’altra parte le vicende di alcuni scrittori, sono tra loro in perfetta armonia. Com’è possibile? Certamente c’è qualcuno che tiene aggiornato il libro, che fa da mediatore tra i due ambiti, sia costui lo sconosciuto fuggito dalla mia finestra oppure la mia donna di servizio. Questo aggiornamento però mi riportava sulla pista infida dei sospetti, dei rumori uditi, degli strani comportamenti erotici o intellettuali della cameriera, ossia mi portava a niente.

Ma il vero problema, mi dissi a un certo punto, è ancora un altro. Il libro in questione non fa riferimento – inspiegabilmente – soltanto a fatti posteriori alla data della sua pubblicazione ma, fatto ancora più inquietante, anche al futuro. Fornisce alcune date di opere e di morti non ancora verificabili ma, considerate nel complesso, attendibili. Il libro, dunque, contiene il futuro. In esso è scritto ciò che accadrà. Al punto in cui ero giunto mi parve questa la spiegazione più accettabile. Tuttavia questa soluzione mi insospettì subito. Non peccava di eccessivo egocentrismo? Era come dire: noi siamo qui e facciamo la storia; in seguito qualcuno pensa a trascrivere nell’enciclopedia le nostre gesta (che nel nostro caso sono rappresentate da opere letterarie deboli e di dubbio valore, da raccolte di poesie orecchiate, da saggi infarciti di citazioni, da romanzetti timidamente pornografici…). Chi mai si accollerebbe la fatica di compilare con tanto anticipo questi regesti inutili? E poi, ancora, come mai solo per alcuni autori era presente la biografia futura? E degli altri autori che ne sarebbe stato? Erano forse peggiori dei loro colleghi? Oppure erano i migliori, e proprio per questo spettava loro quella modalità tutta particolare della fama che è l’oblio?

Improvvisamente mi venne in mente quella che mi parve la risposta definitiva a tutta la questione. Mi alzai e mi versai da bere, soddisfatto di me stesso. Andai alla porta e la socchiusi ancora per sbirciare nel soggiorno. Lei era ancora di là. Mi voltava le spalle, inginocchiata per terra, scalza, china sui vasi dei fiori. Le sue scarpe erano abbandonate a pochi passi da lei, al bordo del tappeto, una dritta sul tacco e l’altra coricata sul pavimento. Mi allontanai dalla porta e camminai per il mio studio, inquieto. Una cosa mi pareva certa: l’avvenire degli scrittori si trova sull’enciclopedia perché il futuro si modella su quel libro. Solo ciò che è deciso compare scritto su quelle pagine, ma quanto è scritto diventa irrevocabile. Opere, vita, morte, tutto è contemplato in quelle poche righe, e su queste poche righe si ricama la vita di ciascuno, con le sue attese e le sue speranze, i suoi tuffi nel sangue e i suoi affetti. La vita di ciascuno mi apparve come un casellario da riempire. Non conta con che cosa la si riempie: paure, desideri, speranza, amore, odio o altro. Ciò che conta è che alla fine sia riempito quel casellario già stabilito una volta per tutte in quel libro. Tutte le verità che uno cerca, le lotte che combatte, le idee in cui crede, tutto il lavoro, gli anni di continuo e anonimo lavoro sono determinati da quelle poche righe, e non resterà nulla, in seguito, oltre a quelle frasi scarne e che, in fondo, non dicono nulla di una vita.

Mi sentii ad un tratto stanco e amareggiato. Pensavo che sarei uscito, che sarei andato a camminare sotto i portici con le mani affondate nelle tasche. Magari sarei andato di là, a parlare con la donna delle pulizie, per cercare di verificare i miei sospetti. Ma questi sospetti mi parevano di minuto in minuto meno probabili e, soprattutto, meno interessanti. Magari le avrei parlato solo così, tanto per parlarle, per uscire con lei e camminare un po’ assieme sotto i portici.

D’improvviso vidi il libro aperto sulla mia scrivania, e mi parve di scorgerlo solo per la prima volta. Mi ero dimenticato del fatto concreto, del libro. Che potenziale era racchiuso in esso, quanto futuro… Iniziai a sfogliarlo alla ricerca di un cognome ben noto. Arrivai fino ad Euripide. Lì non c’era molto da scoprire. Tuttavia non osai voltar pagina. Rimasi là fermo, immobile, e non riuscii a leggere il nome seguente, non lo feci allora né potrò farlo mai. E se venissi a sapere la mia data di morte? Sarei capace di immaginarlo ancora un bizzarro errore di stampa dopo quanto avevo pensato, dopo tutte le congetture elaborate? Ma c’è qualcosa di peggio: e se scoprissi di non essere compreso in quel libro, di non essere scrittore? Certo, potrei non esservi ancora compreso. E se invece lo fossi, e si citasse – in quell’edizione misteriosa del 1968 – solo il mio primo e fragile romanzo, e non il secondo, non un terzo, non la raccolta di poesie e così via? Certo, potrei sempre aggiungere io notizie su di me e sulla mia opera, notizie elaborate con graziosa parzialità, citando gli scritti in cui spero di più e quando la mia morte avrebbe proiettato le opere nell’anonima eternità della letteratura. In fondo tutto è cominciato quando l’opera mi è stata data affinché io la revisionassi e la integrassi. Forse io stesso non sono che uno dei tanto misteriosi compilatori e correttori che manipolano quel libro. Forse la donna di servizio non centra nulla e io, soltanto io, sono un ingranaggio inconsapevole di un’organizzazione grandiosa. Ma se poi fosse vero ciò di cui mi sono convinto al termine delle mie ipotesi, ossia che il futuro si modella su quanto è scritto in quella enciclopedia, che la vita – insomma – si modella sul libro? Se scrivessi il mio nome su quelle pagine (posto che non sia stato ancora scritto) come potrei poi sottrarmi all’influenza dell’enciclopedia? E come potrò sfuggire al potere del libro che deciderà tutto di me, che in pratica si impossesserà della mia libertà? E come potrò sottrarmi a un esercito di sconosciuti che possono manomettere le date e decidere il corso della mia esistenza letteraria? Sarebbe veramente come dare la mia vita in balia di tutti, affidarla alla sorte, al caso. Certo, il mio destino resta comunque affidato al caso, ma che questo avvenga attraverso l’ordine di un libro lo trovo inaccettabile. Inoltre, pensai ancora mentre indugiavo sul paragrafo di Euripide, senza trovare il coraggio di voltar pagina, come potrei continuare a essere leggero nello scrivere, in questo mestiere così innocente, ora che ho scoperto quanto costa cara questa leggerezza? Potrei ancora consegnare la mia sorte con tanta facilità al potere dei libri? No di certo: non potrei più dirmi “ecco, qui termina il mio lavoro, il campo della leggerezza, e inizia la mia vita, il regno della gravità, delle persone che vanno serie per la loro strada”. E infine, anche escludendo l’intervento di ogni forza sovrannaturale, anche ammettendo che tutto avvenga in un ambito strettamente umano, potrei sopportare che qualcuno mi consideri tanto leggero da non trovarmi degno di comparire in un’enciclopedia letteraria?

Ebbi l’immagine precisa della mia situazione. Non importava se io credevo all’onnipotenza di quel libro, oppure se lo consideravo una sorta di burla, una leggerezza alla pari di tutti gli altri libri. Mi pareva che in ogni caso sarei stato vissuto da forze che mi erano estranee, che tutta la mia vita sarebbe caduta fuori dal centro d’equilibrio che, fino a quel giorno, avevo presuntuosamente creduto di incarnare con la mia persona.

Questo è tutto. Lei è sempre là. Vorrei parlarle, ho bisogno di uscire con qualcuno, ho bisogno di una persona che non sia solo un nome seguito da due date chiuse tra parentesi, ma che abbia voce e corpo, anche quando il suo corpo sia quello goffamente provocante di una giovane domestica. Voglio parlare con qualcuno, passeggiare fuori nella notte fresca che si intorpidisce attorno ai lampioni. Da qualche parte si sta decidendo il destino, il mio e non soltanto il mio, e io resto qui a scrivere di una donna delle pulizie. E questo è intollerabile.

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